Il Tibet di Egle

Questo è un regalo di EGLE ( http://cinechiacchiereenonsolo.iobloggo.com/ ); lo ha salvato dal vecchio Splinder.   Mancano le foto, peccato.

TIBET – AGOSTO  1993

CUORNO – GENNAIO 2010

Barkhor, il cuore popolare e religioso del Tibet.
Con l’esilio del Dalai Lama, i comunisti cinesi hanno ridotto il maestoso palazzo del Potala in un museo. La splendida costruzione attira pellegrini da tutto il paese con lo stesso fervore di quando era abitato dal Dalai Lama. Ma il tempio più sacro di tutti, quello più venerato, il Jokhang, sta al centro della città. Emerge rosso ed incoronato dai parasoli dorati e splendenti e dalle vecchie case d’abitazione a due piani. E’ circondato da una strada ad anello che è costantemente percorsa da viandanti impegnati in numerose e incessanti circoambulazioni. E’ il Barkhor, epicentro religioso per eccellenza. E proprio per questo motivo, covo delle insurrezioni del popolo tibetano che saltuariamente esplodeva, ed esplode tuttora, con rabbia contro gli odiati dominatori cinesi, persecutori della loro fede.
E’ presidiato a vista da numerose guardie vestite di verde ed è soggetto a continue ristrutturazioni edilizie decise dagli invasori con il solo fine di estirpare dal cuore di ogni tibetano uno dei simboli viventi della loro millenaria cultura.
Cercano di trasformarlo in uno squallida ed anonima strada per turisti.
Vogliono distruggere quell’atmosfera di pulsante sacralità ormai introvabile in altre capitali d’oriente.
Il Barkhor è sacro. E’ così pieno di vita genuinamente tibetana. Gente proveniente dalle regioni più lontane del Tibet esibisce i costumi variopinti dei giorni di festa e divide il tempo tra preghiere e contrattazioni in un incessante e sereno tragitto.
Come non fermarsi davanti ad un tale senso di profonda consapevolezza di trovarsi a contatto con qualcosa di sconosciuto, misterioso e al contempo solido, inattaccabile. Mi fermai , infatti, davanti al venditore di tsa tsa, gli stampini dorati del Buddha, al monaco che a occhi chiusi offriva le sue preghiere vestito di strati di tessuto di differenti tonalità di rosso. Mi fermai davanti alla traballante teca piena di capsule dentarie di oro puro che non hanno altro scopo che rendere la bocca più bella alle donne, esattamente come i cerotti che le ragazze si applicano con civetteria sulla fronte da quando li hanno visti usare ai turisti occidentali. Mi fermai davanti al bambino con l’eterno moccolo che scende sulle labbra, con il cappello militare messo di sbieco, davanti ad un altro monaco seduto per terra davanti al suo altarino coperto di libri, la campanella, un thermos e che esibisce inchiodate a un pannello di cartone da imballo, tre fotografie del Dalai Lama. Interminabili mantra “Om Mani Padme Hum”, si confondono con le chiacchiere delle donne dal grembiule a strisce colorate, allineate in interminabili cordoni umani tra fumi profumati dei rami di ginepro offerto nei due bracieri di fronte alla facciata del tempio, dove, proprio lì, sotto il porticato, altri devoti fedeli si stendono per lunghe ore in religiose prostrazioni sulle lastre di pietra, rese levigate e lustre dalla secolare usura.
I tibetani credono che le prostrazioni siano un mezzo per rafforzare sia la disciplina mentale che fisica e qui, davanti al tempio più sacro, accorrono pellegrini da ogni dove e si prostrano devotamente, protette le mani con tavolette di legno, le ginocchia da strisce di cuoio o da una robusta veste di pelle di capra rivoltata.
Mi fermo con un vecchio contadino che, mulinello in mano, si congratula con me dell’acquisto di un recipiente di rame ed io gli scatto una foto e gli regalo il recipiente, lui si toglie dal collo una consunta corona del rosario che molto probabilmente lo accompagna dalla nascita e la infila sul mio collo.
Imponenti uomini della regione del Kham a cavallo, hanno facce tondeggianti, le sottovesti chiare, i vestiti marroni, percorrono il sacro anello esibendo i neri capelli gonfi di trecce di tessuto e sfavillanti gioielli di ambra e turchese.
Mi metto a seguire alcune donne che imboccano una via stretta e s’immergono in interminabili trattative sul prezzo del burro di yak, delle foglie di tè compresse in nere mattonelle e poi…
..preghiere e preghiere
Decine di rosari
Decine di mulinelli che ruotano nelle mani della gente, chiacchiere, trattative e seduti per terra tra le bancarelle, monaci che recitano i sutra con una voce bassa e profonda a un ritmo costante.
Provo un profondo senso di stabilità , di essere al sicuro, nessuna paura e sfiorando la corona regalatami inizio a pregare anch’io con le uniche parole imparate in quei pochi giorni: “Om Mani Padme Hum”