Il sogno di Maria

Questa canzone fa parte dell’album ‘La buona novella’ di Fabrizio De André. Mi era stato regalato da mio papà, dopo che avevo dichiarato che non sarei più andata a messa né niente del genere.

‘Ho perso la fede’ che avevo dodici anni; mi ricordo esattamente le circostanze:  le Messe Mariane alle nove di sera, la dolcezza struggente (almeno nel ricordo) del mese di maggio; paradossalmente la Luce si è spenta durante  il Credo; o forse proprio a causa del Credo: lo si recitava a memoria, quasi un credere per obbligo; ma soffermandosi bene sulle parole se ne poteva cogliere l’assurdo e, per me, il ridicolo.

Non marinavo le funzioni giusto per non tradire la fiducia dei miei genitori, che mi lasciavano uscire; ma ci andavo con puro spirito polemico da adolescente, dovevo trattenermi per non alzare la mano e intervenire: “Ma scusi, Padre…!”

Ne parlai a casa intorno ai quattordici-quindici anni; ancora, mi ricordo il frangente: chiesi un colloquio, serissima, senza fratelli e sorelle fra i piedi. Sbiancarono, probabilmente pensavano che avessi perso qualcos’altro, e non lo volevano sapere. O che fossi addirittura incinta (ma lo compresi a posteriori: ero una tatina). E infatti, poi, non si scatenò la reazione che mi aspettavo.

Il giorno dopo mio papà arrivò con il regalo -‘La Buona Novella’, appunto- che mi portò a interessarmi dei Vangeli apocrifi per tutto L’ ANNO  seguente (passato alla biblioteca Sormani, e a quell’età è parecchio).

Quell’album contiene, mi pare, la sua  canzone più bella:

‘Il sogno di Maria’

Nel grembo umido, scuro del tempio
l’ombra era fredda, gonfia d’incenso;
l’angelo scese, come ogni sera,
ad insegnarmi una nuova preghiera;
poi, d’improvviso, mi sciolse le mani
e le mie braccia divennero ali,
quando mi chiese -Conosci l’estate?-
io, per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento.

Volammo davvero sopra le case,
oltre i cancelli, gli orti, le strade;
poi scivolammo tra valli fiorite
dove all’ulivo si abbraccia la vite.

Scendemmo là, dove il giorno si perde
a cercarsi da solo nascosto tra il verde,
e lui parlò come quando si prega,
ed alla fine d’ogni preghiera
contava una vertebra della mia schiena.

Le ombre lunghe dei sacerdoti
costrinsero il sogno in un cerchio di voci.
Con le ali di prima pensai di scappare,
ma il braccio era nudo e non seppe volare.
Poi vidi l’angelo mutarsi in cometa
e i volti severi divennero pietra,
le loro braccia profili di rami
nei gesti immobili d’un altra vita,
foglie le mani, spine le dita.

Voci di strada, rumori di gente
mi rubarono al sogno per ridarmi al presente.
Sbiadì l’immagine, stinse il colore,
ma l’eco lontana di brevi parole
ripeteva d’un angelo la strana preghiera
dove forse era sogno, ma sonno non era.

- Lo chiameranno figlio di Dio –
Parole confuse nella mia mente,
svanite in un sogno, ma impresse nel ventre.”

………………..………….

E’ perfetta per augurarvi Buona Pasqua.

Ne approfitto per porgervi le mie scuse per il frequentare così poco il blog, il mio e soprattutto i vostri; non ce la faccio coi tempi; va così, per ora. Vi penso, ciao!

 

Dal Signor G al punto G

Ieri, su Rai3, serata dedicata a Giorgio Gaber.

Aspettavo questa canzone, che non sento mai e che anche stavolta non ho sentito   (ho però seguito a salti).  La metto qui:

 

Non so, questa più di altre mi dà il senso di quel qualcosa che si è perso. Le Marie ci sono ancora, ancora siamo ‘in un mondo pieno di tensioni’, e certo ancor più vicini alla pazzia; il Vietnam e la Cambogia sono l’Iraq e Afghanistan, per dirne due (e le parole Libertà e Rivoluzione non riecheggiano nelle nostre piazze, ma poco lontano sì).

Quello che mi dà la misura della distanza, è il pudore  nel parlare di qualcosa di privato come un amore, “una cosa mia”,  anziché discutere di “cose che sembrano più importanti: politica, sociologia…” di cui, evidentemente, ci si nutriva.

(Da lì a poco il Femminismo, in Italia, sarebbe diventato un fenomeno di massa saldando privato-pubblico-politico.)

Così lontani, così vicini

Non so perché certi brani musicali mi smuovano qualcosa dentro e altri mi infastidiscano. Della musica cosiddetta colta, per esempio, non so apprezzare i Romantici (a parte Brahms, ma il perché cercherò di scoprirlo un’altra volta).

Un grande che m’è venuto a noia, che gli Dei mi perdonino, è Mozart; Colpa, credo, delle celebrazioni a martello per il centenario, qualche anno fa. S’è salvata parte della produzione operistica e sacra.

Ma perché mi sia venuto a noia, prima è dovuto piacermi, vi pare?

E sapete chi me l’aveva svelato, o almeno chi aveva reso alla mia portata la sua spiritosa leggiadria?

Questi qui:

E secondo voi, Mozart, non ci avrebbe suonato volentieri insieme?

Rockettarapercaso

O per vocazione?   No no, per generazione.

Ma non intendo parlare di musica.

Però, sul blog di Masticone  ho ritrovato questo vecchio bellissimo pezzo, non so bene se il primo o uno dei primi;  ve lo ripropongo

seguito dall’ultimo.

 

Sempre lui… un po’ troppo sempre lui  !  Se li sovrapponete beccando, con un po’ di pazienza, il ritmo giusto, sembra un unico pezzo a due voci gemelle.  Provare per credere.

Insomma, lui mi piace pur senza essere la mia passione.

Eppure…

Cos’ha Springsteen di speciale?  Ha che s’insinua nella crepa che c’è tra il sogno americano e la realtà americana;  e, attraverso di essa, anche nel mio cuore.

Poco in comune con gli U.S.A. ?  Molto in comune con  ‘ste crepe tra sogno e risveglio.

Voi che ne dite?

Vi leggerò tra qualche giorno, tornata dal breve viaggio che regaliamo al Mostrillo per il suo compleanno.