Perché pagare per l’inps

Quella che segue è una lettera di mia sorella Anna a LaRepubblica.

Perché pagare per 50 anni  l’inps ?

Ho un caro parente,  all’improvviso ha scoperto di avere una neoplasia diffusa , non si sa da dove sia partita , preceduta a un ictus .

Pronto soccorso per avere i primi esami , portando con se la moglie affetta da  “alzheimer”. Reparto solventi .

Due giorni 2900.00 euro ..ha dovuto pagare anche gli esami.

Rimandato a casa, ma la situazione peggiora , qualche giorno  e torna in ospedale dove con il bollino verde gli prenotano altri due esami , 10 gg. di attesa. e altri 10 gg. per avere una esito preciso.

Da quando si e’ accorto di avere la neoplasia e’ passato un mese . E ancora sta aspettando .

Sempre piu’ stanco e depresso , dove nemmeno l’assistenza sociale, pur interessandosi,  e’ stata  in grado di fornirgli  un posto.

Cosa gli e’ servito pagare l’inps? Ora avrebbe potuto permettersi  un clinica dove sarebbe stato assistito , dove avrebbero potuto fare subito gli esami, dove non avrebbe dovuto aspettare un mese … sembra un soffio un mese, ma per lui , forse era  vitale !

Magari non serebbe servito , forse il suo destino era gia’ segnato , ma le strutture della nostra societa’ avrebbero dovuto ripagarlo dell’impegno da lui preso per tanti anni .

Ogni giorno un po’ di lui se ne va !

Per quanto tempo quest’uomo sara’ in grado di aspettare ?

Anna

Passa altro tempo, 118, ed è ricoverato. Tardi, tardi.

Ora, vorrebbe tornare e morire a casa sua.

E ricomincia l’incubo burocratico affinché possa esaudire questo suo ultimo desiderio…

La barca nel bosco

Rubo il titolo ad un romanzo per darlo a questo post, che dedico a un uomo che mi manca da più di sei anni, e a un’amica da uno soltanto.

 

Una notte di quasi undici anni fa, attraversando in auto 

la Lunigiana, lui mi disse: “Cosa ci fa una nave sulla collina?” Era là, in gran pavese, con tanto di chiglia, fumaiolo, ponte di comando e murate fitte di oblò.  “Ci fermeremo al ritorno, se non sarà salpata.”

Ripassandoci di giorno, apparve chiaro che una nave non era.  Però rivelò un’altra sorpresa: il campanile della chiesa aveva tutta l’aria di essere un faro. “A Lanterna!” esclamò il mio compagno di viaggio, genovese.

 

Altre volte ripassammo, rimandando ogni volta la sosta: che mai si fece, perché salpò prima lui. Ma qualche mese dopo Mostrillo ed io fummo invitati da amici di amici a passare parte dell’estate nella loro casa di famiglia, diventata ‘residenza estiva’. In un paesino della Lunigiana, mai sentito nominare.

E indovinate di che paese si trattava?

 


INDOVINATO !  Proprio quello!

Il mio pensiero non può non andare anche a Marzia (non è la bimba nella foto, sua figlia), che lì  aveva ospitato Mostrillo due estati fa; e a mia mamma, che era rimasta incantata dalle Apuane.


storie di famiglia

 Visitors del mio cuore,
tra un po’ vado a riprendermi il Mostrillo. 

Ha passato la giornata con gli Scout per i consueti ‘4 passi di Primavera’ , come chiamano la passeggiata in collina di 12 Km. C’era la possibilità di aggregarsi, alcuni genitori l’han fatto. Ma ho preferito che si facesse la domenica per conto suo.

E’ una scusa, dite? :-D Avete in parte ragione… Ma mi ci vedreste lì in mezzo? Una incursione di branco nei boschi -certo più di 100 persone?
ORRORE ED ABOMINIO!! 

Così, ve la conto un po’ su.   

Ho rivisto parenti con i quali, pur non avendo mai interrotto i contatti, non mi incontravo  da tempo.
Mi hanno raccontato vecchie storie di famiglia, tipo quella della Rusìn, una vecchietta che,
negli anni 1940/50,  aiutava in casa Guarneri (mio bisnonno materno) (sì, quei Guarneri); non sapeva scrivere e  un nostro Sandro (allora bambino delle elementari)  a poco a poco le aveva insegnato a leggere ma, in quanto a scrivere, era riuscito solo a farle copiare il proprio nome: Rosa moglie di Eugenio detto Geni  il quale, a ottant’anni, si era tinto da solo i capelli facendoli diventare  un misto di arancione scuro e blu, e se ne girava d’estate con un berretto di lana perché non voleva lasciarseli tagliare, cosa che alla fine fece comunque perché ormai erano arancioni, blu e… bianchi.
Che tempi!

Il  bambino  è Sandro, in Svizzera,
durante la Seconda Guerra, credo.
Ci sono mia mamma, mia zia e una
cuginetta con la mia bisnonna.

 

Primavera non bussa, lei entra sicura anche in questo caso

Non ho scritto post su mia mamma, e quindi non la conoscete; ma lei conosceva voi perché le parlavo spesso dei miei amici ‘invisibili'; la cosa la affascinava e quando veniva a trovare me ed Alessandro amava girovagare sul mio blog e anche sui vostri.
Stavo preparandone uno, col suo permesso, che iniziava con una delle sue ultime uscite da brava Cristianarchica a proposito dell’ingerenza del Clero nella politica dello Stato laico: ” Gesù si è sempre rivolto alle coscienze in-di-vi-du-a-li  e stava alla larga dai politicanti. In effetti, gli unici citati nel vangelo sono Pilato ed Erode: non dico altro! “ 

Per il momento mi riesce doloroso continuarlo, ma presto lo farò, e sarà un post divertente, di certo.
E’ morta all’improvviso (e per lei senza dolore) undici giorni fa; mi piacerebbe pensare che abbia raggiunto dopo tanti anni il compagno della sua vita, mio papà,  che una volta disse: Se muoio per primo vi tengo un posto vicino ai finestrini.
Vedremo se ha mantenuto la parola!

Non vi ho risposto, e forse non vi risponderò nemmeno stavolta, perché ho la funzione commenti -e anche PVT- fuori uso, sul mio blog e non solo. Posso solo postare.
Perciò vi ringrazio e vi abbraccio tutti da qui.

Intanto, guardate se riuscite a indovinare chi sono Francesco e Angelina detta amorevolmente La Perfida (familiarmente Franco e Lalla) cresciuti e fidanzati e sposati da cinque anni.  E c’è pure la mia zia Sandra… protagonista di una prossima STURIELLETT.
A presto, invisibili amiche e amici miei!

piccole cose che cambiano la vi(s)ta 2


 

http://www.youtube.com/watch?v=-MhgnMX73Pw&feature=related (al posto di Emanuele Filiberto c’era questo, l’originale, ma me l’hanno rimosso, dannaz)

 

Premetto: lo so che la vita è fatta più che altro di cambiamenti impercettibili se non nel lungo periodo, ma su quelli è difficile farci un post del tenore dei miei.
Perciò riporto il ricordo di un altro fatto piccolo ma determinante per il mio modo di guardare il mondo.
Avrò avuto 11 anni;  mio papà arrivò a casa con un libro di fantascienza e dopo cena ci lesse questa storia, famosissima, ma stravolgente, allora, per una bambina di quell’età. La conoscerete sicuramente, ma la copioincollo nel caso che qualcuno non. 

SENTINELLA
di Fredric Brown (1954)

Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa.Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità, doppia di quella cui era abituato, faceva d’ogni movimento una agonia di fatica.Ma dopo decine di migliaia d’anni quest’angolo di guerra non era cambiato. Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arrivava al dunque, toccava ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano sbarcato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della Galassia … crudeli, schifosi, ripugnanti mostri.Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata la guerra, subito; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica.E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie.Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo, e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi e ogni avamposto era vitale.Stava all’erta, fucile pronto. Lontano cinquantamila anni luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a case la pelle.E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante che tutti loro facevano, poi non si mosse più.Il verso e la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti col passare del tempo s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle di un bianco nauseante, e senza squame.

 

 

piccole cose che cambiano la vi(s)ta

Lascio perdere cose come catastrofi che spazzano via la casa o peggio; od un trasferimento di lavoro da Aosta a San Diego; oppure la nascita di tre gemelli e conseguenti cambiamenti eclatanti. Parlo dei cambiamenti interiori, magari altrettanto improvvisi, come illuminazioni.
Da piccoli capita in continuazione. E’ tutto un  ‘AHH!’   ‘OHH!!’
E chi se li ricorda: sono ormai matrice.
Le mie prime emozioni ‘intellettive’ sono legate alla musica: a tre anni avevo un ‘pianofortino’ di legno, con i semitoni solo disegnati, e diventavo matta perchè non corrispondevano alla canzoncina che avevo nell’orecchio; mio padre capì, portò a casa una robina un po’ più seria, ed io venni Investita dalla Luce. Ricordo poi l’emozione di quando lessi la prima parola, di quando scoprii che quei segni che conoscevo come lettere, se messi di seguito, non solo davano per risultato una parola finita, ma addirittura evocavano la cosa reale che quella parola designava per me.   Ed ancora, meraviglia, i numeri: lì mi inoltrai proprio in un universo parallelo, in cui giocare con loro come con altrettanti amici, ognuno col proprio carattere e legame con gli altri. Peccato non aver studiato Matematica, mi sarei divertita. 
Eccetera.
Avanti col tempo e le scoperte, e arrivano i 12 anni x la ragazzina incantata che ero, bella famiglia aperta e amorevole, mondo non ovattato ma certo protetto.
A questo punto càpita la cosa che ti fa spostare di un passo, e ti cambia la prospettiva di vedere le cose; il mio cervello apre una finestrella ancora chiusa, da cui si intravede un altro mondo: ascolto Via del Campo di tale De André, un Genovese, che non abbandonerò più.