W i Remigini! (Sturiellett)

Qualcuno dei miei Visitors si chiama Remigio? Sì?

Allora AUGURI !

E a proposito di nomi, e di scuola, ecco la STURIELLETT scritta per la piccolina di un’amica.

 

M I A


“Buongiorno, bambini, sono il vostro insegnante. Mi chiamo Guido, e voi?”
“Io sono Chiara!” risponde pronta la morettina del primo banco, capelli corvini e occhi carbone.
“E io Bruno” esclama un grandone da sotto una zazzera rossa, da cui sbucano gli occhi verdi e il naso cosparso di lentiggini.

E’ il turno di Rose: viene dal Congo, e se non si può dire che sia proprio nera…beh, è marrone scurissimo; di fianco a lei c’è Angelo, che smette per un attimo di stuzzicare i compagni e si presenta, ridendo, con la sua aria da diavoletto.
“Non sarà facile ricordare questi nomi” pensa il maestro “son così discordanti da chi li porta!”

Difatti, la musona dell’ultima fila, interpellata, risponde seccamente: “Gaia.”

Io, invece, sono Patrizio” dice un bimbo accuratamente dimesso nei suoi jeans strappati e la felpa stinta.

Quindi è la volta di Serena, la bambina dagli dagli occhioni tristi; e di Massimo, che, manco a dirlo, è il più minuto della classe.
Manca la piccolina, tutta intenta a disegnare. I compagni la guardano incuriositi.

E tu come ti chiami? Sei dei nostri?” le si rivolge infine il maestro, bonario.

Lei ripone con cura i colori, si alza in piedi e dichiara con orgoglio: “Io sono Mia.”
“Ecco un nome che non dimenticherò di sicuro” pensa lui sorridendo.

 fine

R.R.IMG

sturiellett extra Mundial

EXTRAMUNDIAL

1.

Comandante, finalmente abbiamo individuato l’area per l’ancoraggio della navetta. E’ perfetta  e, inoltre, vi sono forme di vita sorprendentemente affini alla nostra.”

“Bene. Allora, se il nostro Esploratore è pronto, si proceda al suo sbarco.”

2.

 Il campetto da calcio della scuola non aveva mai ospitato una partita di tale livello; forse, non s’era mai visto niente di simile nemmeno allo stadio olimpionico.

Il pallone pareva stregato, i passaggi erano velocissimi e fantasiosi, i calciatori – categoria ‘Pulcini’ – giocavano d’anticipo come professionisti; il risultato, però, rimaneva bloccato sullo zero a zero, grazie alle parate dei mini portieri che intercettavano i tiri più imprevedibili.
Proprio assistendo a quella memorabile partita, Nino decise di iscriversi alla squadra di calcio del quartiere.

3.

Comandante, è il vostro Esploratore che vi parla.
Quaggiù, le condizioni ambientali sono eccellenti, ma gli indigeni sono molto aggressivi.
Sono stato attaccato su tutti i fronti senza possibilità di dialogo e ho faticato parecchio a non essere ucciso a calci. Per un tempo interminabile mi han dato la caccia  tentando di spingermi in trappola, cioè una rete, anzi due, da cui, presumibilmente, sarei stato prelevato per esser poi divorato. Cosa strana, due di loro mi difendevano strenuamente dall’essere catturato; ed io, appena potevo, saltavo loro in braccio. Ma dovevano essere due pazzi, perché, come mi agguantavano, con una pedata mi rispedivano senza pietà nella mischia.
Poi, all’improvviso e senza motivo apparente, tutti hanno rinunciato all’inseguimento e se ne sono andati com’erano venuti, lasciandomi solo.
Allora ho esplorato i dintorni, ho scoperto parecchi individui della nostra razza,  completamente soggiogati: non mi rispondono, non reagiscono a nessuno stimolo  pur essendo tonici, elastici e in buona forma fisica. Temo che siano drogati, o terrorizzati.
Suggerisco il ricongiungimento con l’Astronave Madre, dove concordare un piano per trarli in salvo.
Col vostro permesso, vorrei essere prelevato al più presto.

4.

Il campetto era ormai deserto, solo Nino ciondolava trasognato.
Provò a calciare un pallone, e quello fece:
“AHI!”

 

fine

 

Aggiorno con un post scriptum: dai commenti constato che la sturiellett non è molto chiara… C’è qualcuno che l’ha capita? Devo risistemarla?

 

 

Sturiellett bambinett

Ho riaccompagnato a Milano la mia SuperZia Sandra, dopo un mese e oltre passato qui insieme. Dato che è uno spirito bambino -nel senso migliore del termine- le dedico questa filastrocca (scritta per la fine dell’anno scolastico di un’amica mia, maestra, appunto, d’asilo).

 

SANDRINA LASCIA L’ASILO

Ben nascosto nel nostro giardino,

ci sta un Orso Piccolino.

Annusa i rumori, accarezza gli odori,

osserva i sapori ed ascolta i colori.

E tutti i sassi vuole assaggiare

perché gli piace sperimentare.

Non si canta alle pietre, non si mangiano i fiori!”

Persino in tivù l’hanno detto, i Dottori!

E invece ci insegna la nostra Maestra

che tutto va visto da sinistra e da destra,

da sopra e da sotto, da dentro e da fuori..

ma soprattutto usando anche il cuore.

Io le ho creduto e comincio a capire,

con la mia testa già riesco a pensare.

Così, non son più quell’Orsetto Piccino,

ma un po’ mi dispiace lasciare il giardino.

 

 

Disegno di Daniela Rahel Schneider-Ventura

Disegno di Daniela Rahel Schneider-Ventura

sturiellett del 25 aprile

A OVEST DEL LAGO, 1945

Non conto più le primavere: sono così tante! Ma sempre, allo schiudersi delle viole, ripenso a quella bambina…

Non so che nome avesse, nessuno di noi mocciosi lo sapeva. Era approdata all’istituto prima dell’armistizio; dormiva poco, mangiava tanto, e taceva.
Anch’io tacevo appena arrivato; conoscevo solo il mio dialetto e non spiccicavo una sillaba; in compenso, minacciavo di spiaccicare il naso di chiunque osasse canzonarmi.
Poi, sapete come funzionano queste cose:
s’impara una parola (anzi, parolaccia) da scambiare coi compagni, si azzarda la prima frase, ci si fa il primo amico… ed è fatta, in un crescendo esponenziale. Al contrario, la muta scivolò in un circolo vizioso: iniziò male, restò tagliata fuori da quel branco di scervellati che eravamo e non poté che andarle peggio; qualcuno la maltrattava, qualcuno la compativa, ma perlopiù pensavamo che fosse scema e la trattavamo come tale. In classe la tempestavamo di biglietti derisori, se non proprio offensivi; tanto non è in grado di leggerli, pensavamo.
Del resto, non era facile avere a che fare con lei: ci guatava da lontano e non invogliava ad invitarla nei nostri giochi.

Stessa solfa con le suore: collezionando brutti voti metteva il muso e così, ci scommetto, perdeva la voglia di imparare alcunché.

Veramente non so se ci fosse qualcuno, o qualcosa, che la interessasse. A parte il trastullarsi con la terra. Quello sì, la appassionava: si era impossessata di un pezzetto di cortile sterrato e passava i giorni a seppellirvi roba manco fosse un cane, ad alzare argini come un castoro, scavare come una talpa e sporcarsi come un maiale; con cucchiaio e forchetta sottratti in mensa raschiava e rivoltava per ore quel riquadro di fango che il direttore chiamava giardino.
Con l’inverno smise di pasticciare; mentre noi ci sfinivamo a palle di neve, quella matta difendeva il suo pezzo di terra con tale ferocia e determinazione che nessuno osava avvicinarvisi; va da sé che divenne lei il nostro bersaglio preferito.
Poi la neve sparì e sparì pure lei, qualcuno se l’era venuta a riprendere.
Rivoletti gelidi serpeggiavano per il cortile, evaporando al primo tepore. Un tepore che rammolliva i nostri cuori, tant’è che dovetti confessare a me stesso di sentire la mancanza della scema, col rimpianto di non aver voluto scoprire qualcosa di lei, chissà, qualche storia avventurosa, un segreto, un mistero…

La fine della guerra civile si annunciò con musica, grida, richiami, campane in festa, campane e ancora campane che assediavano e scavalcavano le mura dell’istituto. Ci portarono sul terrazzo in alto a guardar lontano, cantare e sventolar bandiere. Sembrava che fosse scoppiata la pace!

Invece, finalmente, era scoppiata la primavera. Pareva che tutti i fiori avessero aspettato proprio quel giorno per sbocciare.
Fu così che, affacciandoci, restammo a bocca aperta: molto più in basso, sul pezzetto di prato dominio della scema, un ghirigoro di margherite, primule e violette sfolgorava sull’erbetta verde formando la scritta ‘Scemo chi legge’. Ci aveva fregato! Toccava a noi rimanere senza parole.

Non rivedemmo mai quella bambina; sarebbe stata contenta di sapere che, da quel momento, anziché la Scema la chiamammo Flora.

fine

La Guerra dei Bottoni 2 (sturiellett d’amore e di guerra)

Klary ed Ugo:
LA GUERRA DEI BOTTONI 2

 

Come un fulmine a ciel sereno, senz’ombra di preavviso, Ugo si innamora. Non è l’ amore a prima vista dei dodicenni; bensì un amore a primo contatto.
Succede a scuola: vedendo incedere per il corridoio la bionda Klary, una tipa di terza media tutta piercing e abiti borchiati, se ne sente irresistibilmente attratto. L’interesse dev’essere reciproco, dato che lei, passandogli accanto, avverte la stessa sensazione.
I due si guardano pieni di stupore: “Ma come,” pensa lui “cosa c’entra con me questa valchiria?’’ E lei: “Ma come, da dove salta fuori questo microbo?’’ Nondimeno, quando la campanella decreta la fine dell’intervallo e dell’idillio, lo stupore rasenta lo sgomento.
La faccenda va avanti per un po’. La scintilla non sempre scocca: a volte, pur sfiorandosi, si ignorano. Ma quando accade… eccoli lì, occhi negli occhi, che faticano a staccarsi.
E’ immaginabile che prima o poi si rivolgano la parola: e infatti accade. Non è invece scontato che vadano d’accordo; invece accade anche quello.
Il seguito è facile da prevedere: cominciano con il dividersi la merenda a scuola e poi anche ai giardini; si scambiano il numero di telefono e poi libri e videogame; si invitano nelle proprie camerette e si imbattono nelle rispettive famiglie. Infine l’amicizia prevale sull’ amore, ma il sentimento che li unisce si è fatto forte.
Un pomeriggio che bivaccano a casa di Klary arriva il nonno di lei, Benjamin.
Si avvicina corrucciato a Ugo e lo apostrofa: “Dove hai preso questo?” “Mah… me l’ha comperato la mamma al mercato.” “No, non il cardigan: questo, il bottone che ostenti come spilla!” “Eh…” risponde un po’ imbarazzato Ugo “Me l’ha portato Diablo, il mio porcellino d’India; fa vita notturna e di certo conosce un sacco di ratti. Penso che venga… ehm… dalle fogne. Perché?” “Uhmm…” fa il nonno “sedetevi che vi racconto una storia.” Chiede a Ugo il suo gingillo e si schiarisce la voce.
Quand’ero in guerra… Intendo la Seconda Guerra Mondiale, ignoranti!! Quand’ero in guerra, dicevo, avevo un bottone simile sull’uniforme, mimetizzato tra gli altri. Ma non era un bottone qualunque: ecco, vedete com’è fatto? E’ una bussola;  un po’ rudimentale, ma provvidenziale, se ti trovi a dover scappare dai tuoi aguzzini e non sai da che parte voltarti. Funziona così: la si appende a un capello e si considera verso quale direzione volgono questi due punti fosforescenti nascosti: lì, c’è il Nord; il punto singolo indica il Sud. Non indovinereste mai quanti soldati inglesi siano riusciti a tornare a casa – come me – o almeno ad aver salva la vita grazie a una spillina come questa! A volte, purtroppo, il tentativo di evasione falliva, e allora bisognava far sparire il bottone; di solito lo si ingoiava… e… recuperava – vi lascio immaginare con che difficoltà –  per poi ritentare la fuga.
Ma questo non lo racconta mai nessuno nelle eroiche cronache dal fronte, perché è la parte sporca della guerra… Non ridete, sciocchi!! I corpi a brandelli dei compagni… paura… puzza… Per noi combattenti –  e purtroppo non solo – gran parte delle battaglie significava proprio questo. Insomma: lo si recuperava e si ritentava la fuga. A volte era impossibile riprenderlo, e allora addio, giù per lo scarico.
Ed ecco che il tuo topo indiano ne trova uno e lo porta proprio a te, un bambino italiano! ”  Esclama il nonno, ritrovando il sorriso. “Non sono un topo! Cioè, non sono un bambino, e Diablo non è un topo!” finge di offendersi Ugo. Ma il nonno non ha ancora finito: “Altro che amore! Altro che irresistibile attrazione: tu con la tua bussola, lei con tutta quella ferraglia addosso!”  E scoppia finalmente a ridere. 
Questa volta è Klary a ribattere: “La mia non è ferraglia!!” Ma i due giovani sono molto impressionati e alla fine tacciono.
Benedetti ragazzi!” conclude il nonno “ Io vedo questo bottone e ripenso alla guerra; per voi, invece, è una scusa per amoreggiare!”
E se li abbraccia commosso.

FINE

Er.Pb304 (sturiellett ispiratami da Melogrande)

Questa è una STURIELLETT dedicata a mio nonno Erminio (classe 1890!) che ha sempre guardato con meraviglia ai cambiamenti, alle scoperte, e soprattutto ai ‘Giovani’ in cui riponeva grandi speranze.

———————–Godetevi il video junky———————-

4 febbraio 2514

Ieri, curiosando nell’archivio di famiglia, ho trovato questo antico file che, stranamente, porta il mio nome: Er.Pb304.
Eccovelo qui di seguito:

 

Nnn  Er.Pb304
Certe mattine mi capita di svegliarmi accoccolato su me stesso, o diritto impalato come in una bara, oppure sparso tra le coltri, ma comunque immobile e fisso, senza quasi respiro.
In queste occasioni mi pare di esere chiuso in una gabbia, una gabbia fatta di ossa e carne, sangue e nervi, con antenne sulla punta del naso e delle dita.  E mi percepisco come una macchina, non perfetta, ma funzionante.
Perché, che differenza c’è tra una macchina e un organismo vivente?
Penso:
Un organiso si nutre? Ebbene, una macchina, un robot può trarre energia dal sole o dal vento;
Un organismo si riproduce? Un robot può farlo: esistono già stampanti in 3D;
Un organismo muore? Beh, le macchine si usurano, eccome, sino a fermarsi. Vedi la mia moto Guzzi.
Un organismo cresce e impara? Certi robots sono programmati per imparare attraverso gli sbagli.
Un organismo è VIVO? E cos’è la vita se non impulsi chimici ed elettrici? O elettronici, nel caso del robot.
Un organismo ha coscienza? Volendo essere presuntuoso, non credo che un’ameba ne abbia molta, eppure da lì arriva l’Uomo. E il Web è un enorme cervello: chi può dire con certezza che non ne abbia, o che non ne avrà?
Così, tra un milione di anni, io potrei essere stato il bis-bisnonno di un piccolo Robot.
Poi
un tic a una palpebra, un sospiro involontario o un prurito all’alluce rompe l’incanto.
Tanto vale che mi alzi e scriva subito questa lettera al mio pro-pronipotino.

 

Con amore, tuo
Nonno Erminio

FINE

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( IL TITOLO: Er.Pb304 = Er.ossido di piombo = Er.minio = Erminio  :-D  Alla faccia delle Tre Leggi della Robotica )

I BEI TEMPI ANDATI non finiscono mai – Sturiellett ( ancora postini ?!? )

I BEI TEMPI ANDATI non finiscono mai

Avete presente quei nonni che dicono “Ai miei tempi…”? Ecco. Ho quasi sessantaquattro anni – voglio dire, non sono ancora nemmeno anziana – e già illanguidisco pensando a quando la posta la consegnava il postino e all’era pre-

telefonino; a quando, durante un viaggio, dovevi programmarla la telefonata a casa: bisognava scovare un telefono pubblico, fare la coda, prenotare la chiamata, attendere, e rifare tutto se cadeva la comunicazione o se non ti rispondevano. E le lettere! Veri e propri diari di viaggio, o giornali di bordo, scritti durante interminabili traversate o giorni di treno a carbone. E le cartoline surreali, e le foto – più surreali ancora – della cabina telefonica, che sennò non ti avrebbero creduta.                         Ora cosa scrivi a fare, se un salutino te lo puoi scambiare tutte le sere? Naturalmente, le lettere, oltre che spedirle, le ricevevi. E i biglietti fatti a mano, e i telegrammi con i baci da Karachi. Ora si usa la posta elettronica. E chi ce l’ha un computer? E anche fosse, non saprei usarlo: ci ho messo un mese a capire come funzionano gli SMS, una settimana solo per impararne il nome, che li confondevo con le sigarette. Sì, sì, lo so: di sicuro c’era chi rimpiangeva il telegrafo, e prima ancora, magari, i piccioni viaggiatori – faccio per dire; gli avi di mia nuora d’oltreoceano, forse, pensavano con nostalgia ai Pony-Express: i bei tempi andati non finiscono mai.

E’ arrivato il postino. Suona solo una volta e porta bollette, propaganda e riviste delle varie ONLUS. Oggi, però, ha una raccomandata da firmare. Ho un po’ di batticuore: allora erano pacchettini della nonna, o messaggi d’amore speciali. L’ultima, invece, era una multa da Mantova: quella malaugurata idea di snobbare il fidato treno per l’auto! Comunque, prendo l’ombrello e vado alla Posta.

Non sto in me dalla contentezza: un pacco-regalo natalizio dai miei nipoti! E’ un computer sottile come un quaderno. Pensate che è più piccolo del suo manuale d’ istruzioni, e sul biglietto che l’accompagna c’è il recapito di un tecnico disposto a spiegarmi tutto (fiuu, menomale!). C’è anche un aggeggio che rende superfluo l’abbonamento telefonico speciale; e anche una mini-telecamera che mi permetterà di vedere le loro belle facce, pur lontane; scriverò a destra e a manca; e voglio anche informarmi su ‘sti blog tanto in voga…

In futuro saranno questi, per me, i bei vecchi tempi. 

 

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Prologo di ROSA (semi sturiellett)

C’è un postino che ricordo proprio bene, dato che mi ero infatuata di lui.
Il “fascino della divisa” vale anche per i postini? Boh! Io ne sono esente (anzi!).
Ma a me piaceva il cuore che batteva sotto quella divisa – oltre al resto: aveva un bellissimo brutto muso e lavorava in bici da corsa.
Consegnava la posta dalle finestre: abitavo in un quartiere di villette scalcagnate con la porta sempre aperta sulla strada di città, senza marciapiedi, invasa dalle le seggiole delle vecchie signore – ma anche signori – che facevano comarò (gossip) aspettando il postino del loro cuore.
Lui era l’ eroe che, dopo aver portato un telegramma o una missiva inaspettata (come le signore non mancavano di sottolineare, quando capitava) tornava sul luogo del delitto per accertarsi che le sue nonne non avessero bisogno di conforto.
Lo avevano tutte adottato. Non so come facesse, perché immagino che avesse da rispettare i tempi di consegna  (spiegata la bici da corsa?).  
Tra i portalettere che avevo conosciuto (tanti e tante, dati gli innumerevoli traslochi),  era il solo ad aver rifiutato un posto in ufficio, al calduccio, preferendo apparire da lontano – sotto uno svolazzante poncio arancione – alle sue protette, che lo aspettavano con un batticuore da ragazzine e che mi avevano eletta loro portabandiera, tifando per me.
Per me, che sentivo di attrarlo; ma lui non cedeva.
Ricevevo parecchia posta e quindi visite sue, ma non abbastanza, a mio parere, per riuscire ad irretirlo.
Così, spesi un capitale in francobolli e dignità per scrivermi da sola (senza mittente, eh!) ma riuscii nel mio intento.
Solo troppo tardi capii la ragione della sua – blanda – resistenza: era un Postino Pater Familiae. E ciò gli causò non pochi guai. E anche io, per par condicio, passai i miei.
 
Non mi piace ripensare a questa faccenda; per liberarmi un po’ dal disagio, ho inventato questa storiella classica a mo’ di catarsi:

 ROSA

[vedi post (ino) precedente]

Ps: La storia è QUASI vera; il personaggio del postino lo è del tutto.

ROSA (sturiellett)


design.fanpage.it/vestirsi-di-foglie/

ROSA 
 
Sono una rosa.
Una rosa vera, con un sacco di spine.
Una volta mi chiamavo Rosa, ero una donna. Con una spina nel cuore.
Avevo un amante lontano che mi riempiva di fiori.  Di ogni tipo e colore, soprattutto rose: bianche, arancio, gialle, rosa; striate di viola, verde, giallo o blu; mancavano solo quelle rosse. Il perché è presto detto: nel suo giardino da mille e una notte non era mai riuscito a coltivarne, quindi gli erano sgradite.
Arrivavano tramite un negozio di fiori: tanti, ma così tanti, che avevo dovuto procurarmi dei secchi per metterceli. Quelli che non ci stavano -avevo una casa piccina picciò- li passavo ai vicini. Il condominio più profumato della città.
Andò a finire che mi innamorai del garzone del fiorista.
Anche da lui  ricevevo fiori, ma uno alla volta: una singola rosa rossa.
E fu una rosa rossa a tradirmi: era nascosta tra le altre, unica; ma il mio fidanzato, in visita, la vide e si insospettì. Mi seguì e scoprì il tradimento. Mi uccise, mi fece a pezzi e mi seppellì nel suo giardino, sotto un cespuglio di rose che cominciò a fiorire di rose rosso sangue. Io sono una di quelle.
E il garzone del fiorista?
Sviluppò una spiacevole allergia ai fiori, certo psicosomatica, e  fu costretto a cambiar lavoro.
Ma, poiché il lupo perde il pelo e non il vizio, si impiegò come postino.

 

http://www.artribune.com/wp-content/uploads/2013/05/Rosa-Nudo-16.jpg

Questa è parte di una sturiellett un po’ più lunga; non sapevo se mettere fine, o segue… o forse precede? Vorrei davvero si scrivesse FINE.

 

KRISHNASWAMI (Sturiellett del 2 novembre)

 Con questa sturiellett per il giorno dei morti arrivo un po’ in ritardo…

ma tanto non hanno fretta! 

-Nemmeno io credevo nella Reincarnazione, quando avevo la tua età-

KRISHNASWAMI

 

 Nacqui che avevo cent’anni tondi tondi (gli amici scherzavano sempre sulla mia pignoleria).Non rammento le circostanze, il come e il dove: a quell’età i ricordi si fanno confusi, si sovrappongono.

 La prima cosa di cui conservo memoria è una specie di girello a cui mi appoggiavo per camminare. Sostituito poi da due stampelle, ed in seguito dal bastone.

 Con o senza aiuto, queste mie gambe, dapprima tremolanti e poi sempre più salde, hanno macinato miglia e miglia di anni luce, su questa Via spiroidale che chiamano Lattea.

Dal centro verso la periferia.

Anche i denti si facevano via via più saldi, ed i capelli pure, passando dal bianco al grigio ferro, e al nero corvino; come la barba, folta e ricciuta.

 Procedendo nello spazio-tempo, la barba di cui andavo tanto fiero lasciò il posto ad una peluria ridicola, e persino a qualche brufolo.

 Mentre le gambe, diventate meno forti ma più elastiche, non si accontentarono più di camminare: presero a saltare da una regione astrale all’altra, fermandosi di tanto in tanto per scuotere la polvere di stelle dalle spalle tornate esili, e dalla chioma morbida, che tenevo raccolta in una coda.

La stagione dei grandi balzi durò poco: mi appagava correre a perdifiato, il che mi allontanava sempre più dal centro della Galassia e mi invogliava ad ad esplorare la periferia.

 Ritornai a camminare, dapprima ben diritto, poi sempre più traballante ed infine a quattro zampe; ed intanto, grassottello, giocavo a nascondino, dentro e fuori da occasionali buchi neri.

 Poi, ho cominciato a rattrappirmi .

 Sempre più piccolo, sempre più leggero, ora non sono che una spora in attesa del mio turno sullo scivolo, in attesa del mio raggio di luce che mi riporti laggiù, su quel pianeta bianco e azzurro, sconosciuto.

 

 ENIF

EGLE, gazie per il video!

ANDREJ (Sturiellett brevebreve, come queste giornate di fine ottobre)

 ANDREJ
 
Con un sospiro di soddisfazione, Gabriela si rilassa: anche per oggi è andata. Il suo amato Sergej è tornato dalla caccia col cibo per tutta la famiglia; ora dorme come un sasso, non è di quelli che russano e si agitano nel sonno.
Non hanno mai saltato un pasto: la loro mensa è parca, ma non sprovvista del necessario; devono la sopravvivenza alla sobrietà dei consumi.
Lei ha rassettato, ha lavato e steso il bucato, così domani sarà tutto ben asciutto. Ha persino tolto le ragnatele di polvere, incubo di ogni massaia: è da secoli che si riprometteva di farlo!
Andrej e Violeta, i due figli, si sono coricati per tempo; ma il piccolo è inquieto e la chiama nel sonno. “Speriamo che non svegli Violeta, che domani ha un esame di eziologia…” pensa Gabriela. Se lo passa, le regaleranno il braccialetto d’argento, quello montato da Sergej con le pallottole recuperate qua e là; è un artista, lui! E sennò glielo regaleranno ugualmente, se lo merita: visto l’esistenza che conduce è fin troppo brava.
Pochi rumori filtrano dalla strada, tuttora tranquilla.
Può chiudere tutto per bene: porte, finestre, tendine e tendoni; tra poco si stenderà anche lei.
“Maaaaammaaaaa!!” Oh, ecco di nuovo Andrej, a volte fa brutti sogni.
“Maammaa! Vieenii!!” Vediamo cos’ha, questa volta..
“Mamma! Vieni che ho paura della luce!!”, piagnucola il piccolo Vampiro.
 
senzafine
http://pdl.warnerbros.com/wbol/it/corpsebride/flashsite/main_popup.html#MainNav.DeadNav.Pub
(CLICCATE QUA SOPRA, E’ CARINO)

 

STURIELLETT (leggera leggera, sulla coda dell’estate tipo-romagnola…)

(…NONCHE’ DEL COMUNICATO DELL’ONU SULL’AMBIENTE)

 

http://www.youtube.com/watch?v=MQ5uq5E6dLw#t=23

ELISA
Elisa chiude il quaderno dei compiti e corre in spiaggia.
Ieri si è svolta la tradizionale competizione per premiare i castelli di sabbia più belli; è mattina presto e la marea non se li è ancora ripresi.
Che poi, dire castelli è poco: ci sono piramidi, palazzi, treni, astronavi… c’è Fort Alamo, un’Arca di Noè al completo e persino un’oasi con palme e leoni.
Lei se li studia attentamente, ci danza intorno, ne rimane incantata.
Volteggiando, arriva a una cittadella che è la copia perfetta del Borgo Vecchio, quello che sovrasta la marina, proprio lì sopra. Si avvicina ad una casetta riprodotta in scala minore e… Sorpresa! Scopre una finestrella da cui intravede una stanza con cucina, madia e un tavolo attorno al quale siede una minuscola famiglia che, scorgendo quel faccione, smette di mangiare e sgrana gli occhi per lo stupore e lo spavento. Altrettanto spaventata Elisa si ritira, arrossendo per la sua stessa invadenza.
Ma la curiosità ha il sopravvento, come darle torto.
Continuando la perlustrazione accosta l’occhio a una porticina da cui fuoriesce una luce violetta. Anche qui una stanza con bambini e adulti che paion bimbi pure loro. Sono tranquilli, sembrano presi dalla tivù. Come si accorgono di lei spengono l’apparecchio, si precipitano alla porta… e le sorridono! Poi la salutano con larghi gesti di mani piccine. Elisa lucida il pezzetto di vetro colorato e levigato dal mare che ha trovato poc’anzi e lo appoggia delicatamente sul tappetino di sabbia, a mo’ di ringraziamento per l’accoglienza ricevuta. Saluta adagio con la sua manona, prestando attenzione a non provocare un tornado; poi prosegue l’esplorazione.
Ora sbircia dentro a un piccolo portone. All’interno c’è un cortile con un cane, galline, qualche gatto e ragazzi che giocano. Nel vederla, abbandonano i loro bersagli e altri trastulli e incominciano a tirarle sassi, fino a che Elisa si ritrae strofinandosi gli occhi, che le paiono pieni di sabbia.
Lascia perdere il piccolo borgo e se li risciacqua tuffandosi in mare, lo stesso mare che tra qualche ora spazzerà via la cittadella di sabbia, e tra qualche millennio tutto il resto.

fine

Appena in tempo per pubblicare un post estivo.Grazie di essere ancora qui. Un po’ sono stata in giro, è vero (e non solo per diletto); ma soprattutto avevo impallato il PC con i miei esperimenti, tanto per cambiare. Come blogger sono inaffidabile, lo so :-/  Buona fine estate.

Christmas sturiellett

:) Sui blog fioccano neve e storielle edificanti, così, per non peccare di eccentricità, ci metto anche la mia, che mi vien più facile che pensare. Questa è dedicata al mio fratellino, molto fratello e poco ino, e da lui ispiratami (a parte Mammìk che sarei io).

STEFANO e YURI

Stefano ha dieci anni, mille idee e una testa persa tra i cirri.
Mai che trovi quel che cerca: nasconde tesori e dimentica dove; pesca un arnese e lo riperde nel mucchio; ne sceglie un altro e cambia gioco, beato.
I guai cominciano quando si prepara per la scuola. Pantaloni alla rovescia e felpa al contrario, deve scovare le scarpe. ECCOLE, finalmente, proprio nascoste, eh! Però, non una uguale all’altra. Si rivolge alla mamma (Mammìk) e lei, cattivissima: “Arrangiati.” Allora le infila spaiate, tanto anche le calze lo sono: la scarpa rossa con la calza blu, quella grigia con la verde.

Poi esce lemme lemme come sempre, mentre Mammìk, chissà perché, è già stravolta di primo mattino.

I compagni di classe ridono della sua trovata; però passano l’intervallo a scambiarsi scarpe neanche fossero figurine, tenendosele ai piedi fino a casa.

Il giorno dopo il gioco si diffonde su tutto il piano, e nel corso della settimana dilaga per l’intera scuola. Sabato e domenica, poi, per le vie del centro, s’incontrano gruppi di ragazzi stranieri con le scarpe scompagnate: la moda ha contagiato i turisti.

Si avvicinano le vacanze. La maestra assegna il compito di appaiare le scarpe disseminate per il mondo, o rintracciarle, oppure ricostruirne la storia.

Alla ripresa delle lezioni, alcuni alunni si presentano con le loro calzature, altri no: hanno barattato scarpette da calcio con scarponi da roccia, sandali spartani con pantofoline ricamate, scarpe di tela con babbucce di raso… persino stivali con un paio di pinne.
Ma tutti hanno una storia da raccontare.
Stefano ha una ciabattina infradito sola; l’altra è rimasta a Yuri, un bambino conosciuto al mare, verso Trieste. Biondo, intrepido, con un bel sorriso e un piede solo, perché l’altro l’aveva perso calpestando una mina antiuomo dimenticata da una guerra in corso quando lui non era nemmeno nato. Si erano scambiati promesse d’amicizia, indirizzi e numeri di telefono. E le infradito? Ne avevano tenuta una ciascuno, come pegno.

La maestra chiede in prestito la ciabattina a Stefano e la appende al muro, di fianco alla bandiera della pace.

 fine

 

Che la Pace sia con voi!!!!

 

MARGHERITA (sturiellett)

Oggi, sono stata catapultata indietro di mezzo secolo: mi sono rivista in lacrime, abbarbicata alla severissima e amatissima maestra allorché finì l’ultimo minuto dell’ultima ora dell’ultimo giorno dell’ultimo anno delle Elementari.
Il Mostrillo ha finito oggi; della sua classe piangevano TUTTI: bambine,  bambini e maestre;  poi, le bidelle, in crescendo;  poi, i bidelli…
Come avremmo potuto, noi genitori, non avere gli occhi lucidi ?

Questa che segue è una storiella scritta per la maestra di matematica;  Margherita è la sua bambina dell’ Altroquando.
MARGHERITA
Margherita dorme beata.
Un sogno le va incontro, fluido e leggero come una barchetta di carta in un ruscello di montagna.
Guarda la piccola barca infilarsi nel bosco e gettarsi nel torrente; riesce a seguirla di cascata in cascata: è fatta di carta argentata e riflette i raggi del sole che filtrano tra le chiome dei faggi.
Ma, allorché il torrente confluisce nel fiume, la perde di vista.
Cammina lungo l’argine per un tratto, poi sale su di un ponte e si affaccia al parapetto: forse la vedrà passare sotto di lei.
Dopodiché, il sogno si trasforma in un incubo: subdolamente, una crepa si apre a pochi centimetri dai suoi piedi; e un’altra poco più in là, e un’altra ancora… fino a che il ponte comincia a sgretolarsi, e rovina nel fiume.

 

Prima di sprofondare in acqua, Margherita si sveglia; ha la testa appoggiata alle braccia, le braccia appoggiate al banco: ancora una volta si è addormentata durante l’ora di matematica.
Frettolosamente, prima che venga cancellata, copia la lezione dalla lavagna; ma poi, da sopra la spalla del compagno, controlla e ricontrolla che le virgole siano tutte al posto giusto: ieri, per una svista, aveva sbagliato un calcolo e di conseguenza tutti gli altri.
“Ecco com’è che, poi, cadono i ponti!” Si dice in uno sprazzo di lucidità.
Ce la metterà tutta per non far crollare la sua media scolastica; di certo, pensa, mai crollerà un ponte per causa sua.
E’ ancora in tempo per diventare una brava ingegnere.

fine

Écho du Grand Bois (STURIELLETT)

 

ÉCHO DU GRAND BOIS

 

http://luli118961.files.wordpress.com/

 

ÉCHO DU GRAND BOIS

 

 “Eco era una Ninfa dei monti perdutamente innamorata di Narciso”  legge Donatella, prima liceo,  “Lui fuggì e lei si lasciò morire. Non ne rimase che la voce.”
Ecco come sono i maschi, conclude la ragazza cupamente, scagliando il libro lontano.
Nel giro di un’estate, da bimba spensierata che era, si è trasformata in un’adolescente lunatica e bizzarra; nondimeno, è contenta della sua vita – benché talvolta, per darsi un tono, dica che è uno schifo.  Donatella ama gli zii che l’hanno cresciuta – anche se vorrebbe tanto ricordare i genitori; adora i cuginetti – tranne quando li strozzerebbe di gusto; ama la scuola e i compagni – pur chiedendosi, di tanto in tanto, se ha scelto quella giusta; e il paesello – che comunque comincia ad andarle stretto; e soprattutto ama la montagna tutt’intorno, anche se ha l’impressione che sia cambiata insieme a lei, con quei sentieri che percorreva allegramente e che ora paiono serpeggiare infidi. Sono gli stessi che da sempre portano al Grande Bosco, dove, ne è certa, i suoi giocano insieme agli spiriti della natura che lì s’incontrano, rincorrendosi con Elfi e Gnomi.
Vi si reca sovente; a volte solo per sentirli chiacchierare con voci di foglie e ruscelli; talvolta per piangere in santa pace; certi giorni, invece, per chiedere consiglio all’Eco del Gran Bosco.
Oggi è uno di quei giorni. E’ afflitta e arrabbiata insieme.  Arriva sino al limitare della selva che si affaccia bruscamente su di un dirupo.
“Eco del Grande Bosco, amica mia, ” esclama, “perché i miei sentieri son diventati crepacci, e precipizi, e orridi ? ”
L’Eco risponde: “… RIDI …”
“E di cosa? Non c’è più niente che m’incanta! ”
L’Eco risponde: “… CANTA …”
“Non posso, ho un nodo alla gola … le persone a cui io volevo bene, erano le stesse che amavano me, ma ora … più niente combacia … ”
“… BACIA …”
“Come?!?  Figurati!  Non sto ad annoiarti con i fatti miei, ma …  insomma, son diventata timorosa!”
“… OSA …”
“NO!”
“… NO ...”
“Osare, no! Non ci penso proprio, non voglio … non voglio un rifiuto, voglio … essere cercata… non voglio che i ragazzi … ehm … approfittino di me, e magari neanche un grazie, sai cosa intendo. Lo dicono anche i grandi: se sbagli, la vita non perdona!”
L’Eco risponde: “… DONA …”
A questo punto, Donatella si blocca.  DONA …
Il suo nome sarebbe Donata, gli zii dicevano di lei che era stata loro donata.  Gli amici però la chiamano Dona e forse in quel nomignolo sta un segreto. O un suggerimento.
Pensierosa, riprende il sentiero verso casa.
Fatti pochi passi, si ferma, si rivolge al Grande Bosco e sussurra: “ Grazie, ora sto meglio.” E aggiunge, ridacchiando: “Non andar via, eh! A presto!”
Ed Eco mormora: ”… RESTO…”
 
Fin
 
https://www.youtube.com/watch?v=SeV8AnpuTmM
https://www.youtube.com/watch?v=qYi_WTsJ3ic

 

Esattamente un anno fa postavo una storiella dedicata alla mia mamma e al mio papà.  Questa, invece, l’avevamo scritta insieme, lei ed io. Avevamo preso spunto da una poesia che mi recitava quand’ero bambina:   L’Écho du Grand Bois .  Non so se mi piacesse di più la poesia o il suono della sua voce. 

 Ps: Mia mamma si chiamava Angela; Donatella è vivissima, sta benone, la saluto :-)

 

nera su bianco

Scenetta  inventata da  Mostrillo, figlio di Lillo:
 Alcuni negozianti, visto l’aumento della richiesta di generi di prima necessità causa preoccupazione o paranoia da neve, han pensato di alzare i prezzi. Tipo: un litro di latte a tre euro (almeno, stando a quanto trasmesso alla radio).
Primo negoziante:Siamo ricchi! Siamo riusciti a vender tutto.
Secondo negoziante: – Anche quei biscotti che…..
- Certo, a 7 euro al pacchetto.
- E le lattine di fagioli?
- Finite!
- La verdura?
- Venduta a peso d’oro!
- Il Latte?
- 3 euro al litro, a saperlo lo mettevo a 6.
- Benone! Tira fuori i bicchieri che brindiamo! Facciamoci un antipastino.
- Oh-oh… non abbiamo più niente…

Spleen der

C’è stato un tempo in cui abitavamo sul pianeta Effìmera; avevamo fondato la città di Bloggherìa e ci facevamo visita l’un l’altro salpando da Stazioni Di Sola Partenza o viaggando sul bel Camper di Riposo di Feritìn; perché i quartieri eran tanti e diversi e alcuni anche lontani.
C’erano le Torri dei Poeti e gli Antri dei Filosofi, i Muri del Pianto e i Giardini Matematici; Caffè Letterari non ne conoscevo, allora, ma Il Caffè della Peppina eccome; Covi Anarchici e Blu-CanteenSalottini Lellici, Praterie StellariCineSpiagge e ClassiMiste: tutti ragionavano o cazzeggiavano con tutti,  dimentichi di essere ospiti.
In quanto McDadaistibevevamo Flüssigmalz mangiando WürstFrettau e Macedonia Baudelaire da  McDada’sma non sempreIn un cantuccio c’era pure un’ottima Cretineria.
Per strada potevi incontrare Monaci Bianchi, Streghe Assortite, Q.Suzettes e Brumbri Impennati; Fatine Boreali e Cuccioli Da Salvare popolavano vicoli, viali e Piazze Di Sogno,
 dove Nica girava in blue-jazz e Pasion in Red.
 
E molto, molto altro, claro, tipo Sandroni e Romanine.
E musica, tanta.  
Splinder non c’è più e noi invece sì.
Uno solo mancava :  MIO CUGGINO.
(Però, mi rode non poter più commentare con immagini e suoni.

A voi, no?)

 

Hannah

Da Fossoli,  Hannah è stata deportata al lager di  Auschwitz.

Non sa che è chiamato ‘campo di sterminio’, crede ancora di trovarsi in una prigione; crede che prima o poi uscirà, che rivedrà la sorella e la mamma, che forse tornerà a Venezia. Cerca di tenere salde le immagini rassicuranti dentro il suo cervello, dietro lo specchio dei suoi occhi che invece le rimandano visioni terrorizzanti. Desidera con tutta se stessa che il tempo scorra in fretta, affinché  quel che sembra un incubo, da cui si fa fatica a riemergere, finisca.
Presto capisce la verità: da lì non uscirà viva.  Si dà della stupida ed ora vorrebbe  fermarlo,  il tempo, che non si vada di corsa verso non sa quale orrore.
Quando era a Venezia, seduta in qualche Campo o lungo un Rio con le gambe a penzoloni, ripensava alle banalità enunciate dai grandi:  Se ci si diverte il tempo passa in fretta, sentenziavano, se ci si annoia non passa mai.  “Niente di più falso” ribatteva lei “il tempo si dilata se lo riempio; sono le giornate vuote a trascorrere a tradimento. Ieri, per esempio:  ne ho fatte di cotte e di crude, e mi pare impossibile che sia trascorso un giorno soltanto.”
Ecco, sì, pensa ora, posso fare così: allungare il tempo usandolo.  Non vorrebbe nemmeno dormire, nonostante lo sfinimento, ma cosa può fare più di quel che già la costringono a fare? Può occuparsi degli altri, ce n’è che stanno peggio di lei, quella donna con quella bambina piccola, appena arrivata, può aiutare a pulirla e cambiarla privandosi di qualche straccio. Sarà la sua nonna, o la bisnonna? Chissà…  Presto la piccola morirà, ma finché vive, che possa stare il meglio possibile, lei non sa di dover morire.
Ma la donna lo sa, e lei sa che lo sa, e  sa che lei sa che lo sa.  Con questa consapevolezza non riesce a guardarla negli occhi.
Prima di quanto si aspettasse, rientrando nella baracca, non le trova più. Non può fare niente per le compagne e quindi per lei stessa. Il tempo è scandito  a passo di morte, ma Hannah tenta ancora di fermarlo. Elabora  tutto in un minuto,  lunghissimo, che prova a rendere eterno:  se questo minuto lo scompongo in secondi, si dice, ed i secondi in momenti, ed ogni momento lo spezzetto in tanti istanti, e così via…  Ma se penso non funziona, spreco gli attimi, devo ancorarmi a qualcosa…. La neve ! ,  ce n’è tanta, e non un cristallo uguale all’altro, ecco, li vedo, li distinguo, salto su questo, è simmetrico, è come il mio nome palindromo, HAN-NAH;  mi perdo nella sua geometria, nel gioco di specchi, non mi basterà la vita per esplorarlo tutto…
La sua mente getta l’ancora in quel mare bianco, freddo e senza dolore.  E si sente in salvo.
Si salverà dai reumatismi, dai dolori del parto, da un  incidente sugli sci,  dalla vecchiaia; si salverà dall’impotenza di fronte alla sofferenza altrui; dalla paura di perdere una felicità intravista; si salverà dall’amore e dalla tragicità che segna la condizione di chi ama tra i mortali.  Il suo corpo si salverà dalla vita e la sua mente, senza saperlo, sarà sconfitta.
Il giorno dopo il camino scioglierà quel cristallo di neve, quella zattera, ma la sua anima sarà già salpata.

 

Fine

Postato altrove, scritto anni fa per un’amica persa di vista, la quale porta il nome di una ragazzina deportata con la sorellina e la mamma da Venezia e assassinata nel 1944 ad Auschwitz: Anna Scaramella.
Non è una storia vera, forse possibile. A differenza di Anna Frank che scelse la vita per la vita in sè, comunque fosse, questa bambina si distacca da essa.

 

FRANCESCO E ANGELINA (a mia mamma e mio papà, bambini)

  FRANCESCO  E  ANGELINA
Stamattina, niente scuola.
Francesco si sveglia con tutta calma, si stira, sbadiglia e si gratta il naso.
Poi, la giornata prende una strana piega; va in bagno, beve dal rubinetto del lavabo e si sciacqua il viso; ma
quando si raddrizza per guardarsi allo specchio… PUFF…la stanza è sparita : la finestra in fondo e le tende bianche… i vasi di fiori e le saponette colorate… le piastrelle con le foto del mare… la doccia, gli accappatoi e tutte le cose che vedeva riflesse non ci son più.
Al loro posto, a dieci centimetri dal suo naso, SBAM!! IL MURO, contro cui gli sembra di sbattere la faccia.
Dov’è finito lo specchio ?!? Ieri sera era qui. Che scherzi sono?
I suoi sono usciti presto e non torneranno prima di cena; così non sa neanche con chi arrabbiarsi.
Gli pare che volessero cambiarlo, questo sì, ma smontarlo senza dire niente….
Rimuginando su questi pensieri, mentre si lava i denti, gli sembra di notare un pezzo d’intonaco diverso dal resto. Sarà l’umidità? No, no, sicuramente c’è sotto qualche mistero.
Prende il primo aggeggio che fa al caso suo – una lima per i piedi! – e raschia l’intonaco fino ai mattoni.
Tutti uguali. Anzi, tutti diversi, e perciò tutti uguali.
Volendo, ma proprio volendolo tanto, ce n’è uno forse un po’ stortino… inizierà a lavorare su quello.
Usa un paio di forbicine ricurve per attaccare la malta tra mattone e mattone, che è sabbiosa e si sgretola facilmente.
Quando le forbicine si rivelano troppo corte, trova un ferro più lungo (da calza, d’ora in poi inutilizzabile) e continua con quello; allorché gli sembra di essere arrivato abbastanza in profondità, cioè quando è stufo e ha fame, prova a smuovere il mattone.
Tira, spingi, molla, gira.. si muove! Con uno strattone a tradimento, ecco che gli rimane in mano, urrà !!
Sbircia incautamente nel buco e deve trattenere un urlo di spavento allorché, dall’altra parte, vede due occhi neri e assassini che lo fissano.
OH, NO! E’ la figlia dei vicini: ha due anni meno di lui ma lo batte nella corsa, è dispettosa e si dà un sacco di arie.
Si chiama Angelina, ma lui la chiama Diavolina.
E adesso? Non può chiederle Cosa ci fai lì? : logicamente, starà facendo la stessa cosa che fa lui. E nemmeno può rimettere a posto il mattone come se nulla fosse.
Così le dice: “Ci vediamo in giardino, alla scaletta.”
E ritappa il buco immediatamente.
Prende pane, cioccolato, latte, due bicchieri e va incontro al suo destino come l’eroe del suo libro preferito.
Mentre fanno colazione parlano, parlano, parlano… non sono poi così diversi, a parte il fatto che lui è un maschio, chiaro, e che è allampanato e biondo quanto lei è morettina e minuta.
Di sicuro, hanno in comune tre cose: amano ridere, leggere ed esplorare il mondo.
Così, terminata la colazione, si lanciano alla riscoperta del giardino che circonda le villette a schiera delle loro famiglie; c’era un recinto di divisione, ma, molti anni prima, era stato smontato e usato per costruire la capanna sul noce che troneggia dietro l’edificio, dove ci sono anche il garage e la rimessa degli attrezzi.
Francesco mostra ad Angelina il cespuglio nascosto ed inselvatichito che fa le rose più profumate del mondo; la tomba della sua tartarughina; uno strumento (sperimentale) che dovrebbe risuonare con la luna piena.
Angelina, in cambio, gli mostra come strisciare di nascosto nella rimessa dei vicini, dove una gatta ha fatto i gattini (da non toccare, eh!); gli mostra il suo nascondiglio di pietre focaie e una rientranza dove le piacerebbe allestire una sorta di teatro.
Ed è propri lì, curiosando tra altri oggetti, che scoprono gli specchi rimossi dal bagno. 
Si bloccano, trattenendo il fiato: dentro, ognuno nel proprio specchio, col giardino come sfondo, vi sono riflessi loro due , in pigiama e con lo spazzolino da denti appoggiato ad una pietra, che discorrono silenziosamente, come se si conoscessero da sempre.
E’ a questo punto che Francesco pensa: Chissà, se non ha il fidanzato, forse da grande la sposerò.

 

 Fine